La mormorazione

“La mormorazione è un vizio volontario che fa morire la carità” (S. Pio da Pietrelcina).

Uno dei peccati per cui San Pio da Pietrelcina negava l’assoluzione era quello della mormorazione o maldicenza nella quale incorriamo spesso anche noi cristiani. Egli si mostrava severo con coloro che, forse senza rendersene conto del tutto, offendevano così la giustizia e la carità. Disse ad un penitente: «Quando tu mormori di una persona vuol dire che non l’ami, l’hai tolta dal tuo cuore. Ma sappi che, quando togli uno dal tuo cuore, con quel fratello se ne va anche Gesù».
Una volta, invitato a benedire una casa, arrivato all’ingresso della cucina, disse: «Qui ci sono i serpenti, non entro». E ad un sacerdote, che spesso vi si recava a mangiare, disse di non andarci più perché lì si mormorava.

In effetti, a volte non riflettiamo sul fatto che il comandamento “non uccidere” non riguarda solo l’omicidio vero e proprio; si può “uccidere” anche con le parole, con le ingiurie, con le maldicenze e con la mormorazione.

Capita spesso, a lavoro o con gli amici, di essere coinvolti in conversazioni che più o meno velatamente mirano a screditare terze persone, mirano cioè al pettegolezzo. Personalmente devo dire che queste occasioni mi hanno sempre creato un certo disagio, forse perché a livello inconscio sentivo che qualcosa non tornava, anche se a volte, senza rendermene conto, vi partecipavo anch’io. Tuttavia, da quando ho ricevuto il dono della fede, ne avverto ancora di più il male, il lato oscuro. Ho realizzato che davvero in questi casi il cristiano dovrebbe interrompere queste conversazioni, invitando gli altri a fare altrettanto e spiegandone il motivo.

Il confine tra “chiacchiere innocenti”, supposizioni maliziose, dicerie, insinuazioni e malignità, è labile e sottile, cammina su un terreno scivoloso, lavora sottilmente, con conseguenze drammatiche. Mormorazioni nella maggior parte dei casi basate sul ‘sentito dire’ e dunque senza fondamento, che oltretutto normalmente avvengono di nascosto, sottovoce e alle spalle, si rivelano spesso assai dannose, perché minano la dignità e la credibilità delle vittime, viaggiano a gran velocità in ogni direzione, e intaccano la serenità di chi ne è stato fatto oggetto (e in genere anche delle persone a lui prossime).

Il pettegolezzo che oggi viene definito – sui media, sui social network – con il termine di “gossip“, quasi a volerne dare un’accezione più accettabile e divertente, che ne sminuisce il significato negativo, mi ricorda tanto il modo di agire del serpente.

Un aneddoto riguardante San Filippo Neri può aiutarci a capire meglio.

A una donna che si accusava di frequenti maldicenze, San Filippo Neri domandò: “Vi capita proprio spesso di sparlare così del prossimo?”. Molto spesso, Padre”, rispose la donna.
“Figliola, il vostro errore è grande. E’ necessario che ne facciate penitenza. Ecco cosa farete: uccidete una gallina e portatemela subito, spennandola lungo la strada da casa vostra fin qui”.
La donna ubbidì, e si presentò al santo con la gallina spiumata.
“Ora”, le disse Filippo, “ritornate per le strade attraversate e raccogliete ad una ad una le penne della gallina…”.
“Ma è impossibile, Padre”, ribattè la donna; “col vento che tira oggi non si troveranno più”.
“Lo so anch’io”, concluse il santo, “ma ho voluto farvi comprendere che se non potete raccogliere le penne di una gallina sparpagliate dal vento, come potrete riparare a tutte le maldicenze gettate in mezzo alla gente, a danno del vostro prossimo?”.

Questo piccolo aneddoto della vita di san Filippo Neri evidenzia come dettagli che trascuriamo si rivelino in realtà fondamentali. Rendere noti gli errori altrui a terzi non è così innocuo come può sembrarci, in particolar modo quando evitiamo di parlarne col diretto interessato. Viene innanzitutto elusa la necessaria correzione fraterna, che rappresenta sempre, oltre ad un confronto schietto e sincero, una reciproca occasione di crescita spirituale e umana. Ed è poi evidente come, qualora sia presente un’espressa volontà di ferire, denigrare, offendere l’altra persona, avvenga qualcosa forse anche peggiore della violenza fisica. Sappiamo tutti quanta sofferenza possa causare l’uso malvagio delle parole: utilizzarle come arma di offesa rivela una insidia ben peggiore di tante altre cattive azioni molto più visibili e concrete e – per questo motivo – molto più facili da individuare e contrastare.

Nella Sacra Scrittura troviamo diverse ammonizioni al riguardo, prima fra tutte quella di Gesù: “non giudicate e non sarete giudicati” (Lc 6,37).

Dunque, quando pensiamo agli errori altrui, il silenzio è d’oro, e se lo stesso silenzio lo utilizziamo per un esame della nostra coscienza e per riavvicinarci a Dio.. è ancora più prezioso.

Un commento su “La mormorazione

  1. […] Capita spesso, a lavoro, con gli amici, dal parrucchiere, al bar, di essere coinvolti in conversazioni che più o meno velatamente mirano a screditare terze persone, mirano cioè al pettegolezzo. […] Il confine tra chiacchiere innocenti, supposizioni maliziose, dicerie, insinuazioni e malignità, è labile e sottile, cammina su un terreno scivoloso, lavora sottilmente, con conseguenze drammatiche. Mormorazioni nella maggior parte dei casi basate sul ‘sentito dire’ e dunque senza fondamento, che oltretutto normalmente avvengono di nascosto, sottovoce e alle spalle, si rivelano spesso assai dannose, perché minano la dignità e la credibilità delle vittime, viaggiano a gran velocità in ogni direzione e intaccano la serenità di chi ne è stato fatto oggetto (e in genere anche delle persone a lui prossime). (Una casa sulla roccia – La mormorazione) […]

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